top of page

Testimonianze

famiglie adottive.png

                                              Mamma, ma prima dove eravamo?

È questa la domanda che spiazza i genitori che hanno intrapreso il percorso di adozione.È questa la domanda dinanzi alla quale la mente viene colta impreparata ma a cui il cuore risponde prontamente con l'amore il più generoso che si conosca. 

Oggi 26 settembre 2019 presso la scuola Bovio è partito "In famiglia"  uno dei tanti progetti dell'associazione Granello di Senape. L'obiettivo è la condivisione dei percorsi di genitorialità per genitori adottivi e non,  l'abbattimento della solitudine anche istituzionale, la partecipazione a speranze e timori con il sostegno di figure specializzate e di esperti del settore. 

Hanno fortemente voluto essere presenti all'incontro l'assessore alle politiche sociali Monica Montaruli e il direttore d'area politiche sociali, educative,  culturali  la dottoressa Grazia Tedone quali figure garanti e sostenitrici del progetto.

 Non essere nati dalla pancia della mamma è una consapevolezza che vogliono acquisire tanto i figli quando i genitori stessi, questi ultimi più che mai disposti a lasciarsi prendere per mano proprio da chi prima di loro ha vissuto realtà dolorose, inimmaginabili per un bambino. Ha così inizio 

"l'adozione reciproca"... è nata un'altra famiglia! È a questo punto che si profila il percorso di crescita, quello in cui i genitori leggono la propria storia come vocazione,  come un "progetto ideato e cucito" apposta su di loro. E quale può essere il finale di queste storie d'amore? Un'altra domanda di adozione

​

Maria Uccelli

maternità

 Inno alla vita

 Lentamente batte un secondo cuore 

in un corpo che cambia, pronto a custodire

il frutto di un tenero amore;

un mistero divino capace di offrire

il dono più prezioso che ci sia

la nascita di una nuova vita.

E mentre inesorabile scorre il tempo

tu, donna, diventi linfa vitale

che alimenta il tuo grembo, 

 ti senti già madre e angelo custode

di chi ti regala già un incondizionato amore.

Quel cuore che dentro batte

è una musica celestiale

che nessuno ancora riesce a spiegare, 

emoziona e dona gioia infinita

a chi crede ancora nel magico mistero che è la Vita.

​

Cinzia Fracchiolla

Padre e figlio

                                                    Un paese papà

Già da sei anni soffrivo di ernia del disco. Tre interventi non avevano risolto il problema e se ne profilava un quarto. I medici dicevano che c’erano 60 probabilità su 100 che rimanessi paralizzato. Uscito dall’operazione, mia moglie mi dice che è incinta. Avevamo già due bambini e mi sembrava di trovarmi davanti a un muro enorme. Abbatterlo mi sembrava la soluzione più semplice. Romperlo tutto. Insomma, mi sono fatto prendere dal panico ed ho chiesto a mia moglie di abortire. 

Pensate che, quando mi sono sposato, i dottori dicevano che non potevo avere figli; immaginatevi come fui felice quando arrivarono i primi due. Il terzo non era in programma: ma era comunque una pura grazia di Dio, e rinunciarvi era molto difficile. L’aborto però sembrava la soluzione migliore: se rimango paralizzato - mi dicevo- chi penserà a questo bambino? Non abbiamo un aiuto se cui contare. 

Eccoci allora dall’ostetrica. Esponiamo il nostro caso, chiedendo l’aborto. 

La cosa più strana di quei giorni e che in ogni angolo che mi girassi, ogni giornale che sfogliassi, ogni cosa che guardassi, c’era un bambino, c’era una pancia… c’era un bambino che nasceva nella pancia. Credetemi, per due settimane è stato un vero tormento. Così, di nascosto all’ostetrica, sono andato a parlare al consultorio, spiegando che io ero contraria l’aborto e che lo volevo a tutti costi, questo bambino. Ma portarlo avanti era dura, molto dura. 

Dopo qualche giorno, una nostra vicina ci propose di farci conoscere un Centro di Aiuto alla Vita. Io non sapevo che cosa fosse. In ogni modo, questa signora ci mise in contatto con Marisa, del CAV di Orbassano. Eccoci da Marisa. Spieghiamo la nostra situazione e lei molto amorevolmente ci viene incontro. Ci ascolta. Insomma, dopo il colloquio andiamo di corsa dall’ostetrica per dirle: “Quel foglio lì puoi buttarlo nella spazzatura, perché io voglio mio figlio, a costo di qualsiasi sacrificio”. 

E devo dire che le cose sono molto cambiate da allora. E in meglio. Si chiude una porta, ma se ne aprono dieci. Davvero. Da quando è nato Riccardo, è migliorata la salute e, se ho perso il lavoro, nel giro di due giorni ne ho trovato subito un altro. Il bambino è una meraviglia della natura. Ieri per la prima volta ha risposto al telefono: “Chi è, papà?” La prima volta che lo ha fatto, ha due anni.

Il CAV ci ha aiutato tantissimo. Prima di tutto moralmente: più che l’aiuto economico, quello che può dare tanto è infatti proprio l’aiuto morale. Noi ne abbiamo avuto proprio tanto da parte del Centro: ci sono stati vicino in qualsiasi momento. Poi, certo, ci hanno aiutato anche finanziariamente, con il Progetto Gemma, cioè con l’aiuto economico da parte gli adottanti, che rimangono anonimi.

Io ho però voluto conoscere personalmente, tramite Marisa, chi ci ha aiutato. E così ho scoperto che è un paese intero, San Giustino Valdarno: un paese bellissimo. Ho conosciuto centinaia di persone che si sono fatte in quattro per noi, per me e la mia famiglia.

Lo scorso 2 febbraio, Giornata per la Vita, hanno voluto festeggiare mio figlio invitandoci nel loro paese. È stata una cosa, credetemi, bellissima… arrivare e trovare un paese intero che accoglie con manifesti un bambino figlio proprio. Credete a me quando dico che sono felice che Riccardo sia figlio del Centro di Aiuto alla Vita e figlio di San Giustino: perché sono loro i veri genitori, sono loro che hanno fatto in modo che questo bambino ci sia. 

                                                                                                                                                                               Giovanni

​

Giovanni

bottom of page